La persecuzione dell’omosessualità durante il regime nazista non si limitò solamente a quella maschile. Lo stesso tragico destino toccò, anche se in maniera meno evidente, a tante lesbiche.
Apparentemente, la persecuzione nei confronti delle donne omosessuali fu meno cruenta di quella nei confronti degli uomini. Il Paragrafo 175, infatti, non perseguiva l’omosessualità femminile, per quanto diversi tentativi di inserirla siano stati fatti nel corso degli anni, senza però alcun successo.
Le ragioni di questa diversità di trattamento sono spiegate in una lettera scritta nel 1942 dal Ministro della Giustizia del Reich:
“L’attività omosessuale fra donne non è così diffusa come tra gli uomini. (...) Una delle principali ragioni per punire atti sessuali tra uomini - vale a dire la distorsione della vita pubblica a causa dello sviluppo di legami di dipendenza personale - non ha ragione di essere per le donne, a causa del loro minor peso nella società e nel pubblico impiego. Infine, le donne che indulgono in relazioni sessuali innaturali non sono impedite del tutto come agenti procreativi diversamente dagli omosessuali uomini, anche perché l’esperienza mostra che in seguito le donne tornano spesso a relazioni normali”.
Giudicate elemento di secondo piano nella società, le lesbiche furono ignorate dal codice penale tedesco. Tuttavia la macchina repressiva del regime si mise in moto anche contro loro: la polizia tedesca sorvegliò molte donne, soprattutto quando il loro orientamento sessuale era maggiormente visibile e le sorvegliate non davano segno di volersi “redimere”. La vita associativa lesbica, al pari di quella degli omosessuali maschi, venne duramente perseguitata e colpita. Il fervore culturale dell’ambiente berlinese e di altre grandi città tedesche, infatti, aveva coinvolto anche le lesbiche.
Nella Berlino degli anni Venti esistevano luoghi di ritrovo e si pubblicavano riviste come Frauenliebe (Amore femminile) e Freundin (L’amante donna). Non esistevano però associazioni politiche: la partecipazione delle donne tedesche alla vita sociale e politica era infatti scoraggiata.
Con l’avvento del nazismo i locali per lesbiche vennero chiusi, le riviste dovettero cessare le pubblicazioni in quanto ritenute immorali. Iniziarono a diffondersi delazioni e denunce. Molte, per sfuggire alle persecuzioni, furono costrette a cambiare residenza e a trasferirsi in luoghi in cui nessuno sapesse del loro orientamento sessuale. Altre ricorsero a matrimoni di comodo, talvolta con omosessuali, per sfuggire alle persecuzioni.
Le lesbiche che non vollero o non poterono nascondersi dovettero pagare un caro prezzo. A partire dal 1936 molte furono rinchiuse in ospedali psichiatrici e costrette a seguire programmi di rieducazione. Per tante altre si aprirono le porte dei campi di sterminio.
Non si sa con esattezza quante furono le lesbiche internate nei campi di concentramento e di sterminio. Come accadeva nella società, anche nella realtà dei lager la presenza delle lesbiche fu ignorata. Si ha notizia solo di cinque casi di lesbiche deportate esplicitamente per il loro orientamento sessuale. Ricerche storiche recenti hanno però appurato che in diversi campi vi era la presenza di internate lesbiche, in alcuni casi in proporzioni significative.
Nella maggior parte dei casi, il loro internamento avveniva con motivazioni ufficiali diverse dall’omosessualità: generalmente venivano classificate come “asociali”, come prigioniere politiche, come ebree, come comuniste, in tanti casi come prostitute. Per questo motivo molte furono costrette a lavorare nei bordelli dei lager.
Non esistendo come categoria, le lesbiche non furono contraddistinte dal triangolo rosa, come accadeva per gli uomini. Il marchio assegnato loro fu quello delle altre categorie: il triangolo rosso dei prigionieri politici, quello nero degli “asociali”, la stella di David degli ebrei, ecc.
Di conseguenza, poco o nulla si sa del loro destino, anche se non è difficile immaginare che sia stato seguito lo stesso di milioni di deportati: la morte. Solo di una delle cinque lesbiche internate formalmente come tali, Henny Sherman, si sa di preciso: morì nelle camere a gas di Berneberg nel 1942.
Alla fine della guerra questo sterminio invisibile venne totalmente rimosso dalla memoria collettiva. Qualche ricerca ha iniziato a fare luce solo in anni recenti.
Collage dei locali gay e lesbici di Berlino negli anni ’30. (orig.USHM)
Come gli omosessuali maschi, anche le lesbiche avevano i loro locali di ritrovo. La loro vita associativa venne ugualmente spazzata via dal nazismo.
Foto antropometrica di Henny Schermann. (orig. USHM)
Quello di Henny Schermann è uno dei pochi casi conosciuti di donne internate in un lager per omosessualità. Di origine ebraica venne arrestata nel 1940 e deportata nel campo di concentramento femminile di Ravensbruck. Sul dorso della foto si legge “Genny Sara Schermann, nata il 12 febbraio 1912 a Francoforte, non coniugata, commessa di negozio.
Lesbica licenziosa frequentatrice di bar omosessuali non ha adottato il nome “Sara”. Apolide ebrea.” (Sara venne usato dai nazisti come nome distintivo per identificare le donne ebree). Henny morirà nelle camere a gas di Berneberg nel 1942.
Documento di sorveglianza di due lesbiche austriache 1942 (orig. HOSI Wien)
Rapporto di polizia.
“Lienz, 6 marzo 1942
GeStaPo - Commissariato di polizia di frontiera alla GeStaPo - Posto di polizia statale - II dipartimento - Klagenfurt.
Oggetto: xxx Liesbeth, residente a Vienna, Knieserstrasse 7 e xxx Ellionor, senza domicilio conosciuto causa amore omosessuale.
Priorità: nessuna
Allegati: duplicato di lettera in triplice copia
Si allega alla presente una lettera rinvenuta dal Commissariato di polizia di frontiera di Lienz nel corso di un controllo postale. Come appare chiaro dallo scritto, le due donne intrattengono un rapporto di natura omosessuale. È da osservare che nel caso della xxx si tratta di un’educatrice, circostanza che da sola rappresenta un’aggravante rispetto alla punibilità sulla base del codice penale austriaco. La destinataria della lettera non poté venire rintracciata a Lienz. Verosimilmente si trattava di una viaggiatrice. La lettera è stata trasmessa dall’ufficio postale di Lienz senza altri accertamenti. Da qui non è stata intrapresa alcuna ulteriore attività. Con preghiera di voler trasmettere la copia della lettera a Vienna.”
Lettera di una lesbica sequestrata dalle autorità. (orig. HOSI Wien)
Al contrario di quanto avvenne in Germania, in Austria anche l’omosessualità femminile era perseguita ufficialmente dal Paragrafo 129. Lettere come quella qui riportata erano sufficienti per un’incriminazione.
“Gentile signorina, mi permetta di rispondere al Suo annuncio con alcune brevi notizie riguardanti la mia persona.
Sono bionda, slanciata, alta 163 cm, amante della musica, io stessa suono la fisarmonica e ho praticato sport con passione.
Di professione sono impiegata in un ufficio, ma non per questo sono una persona presuntuosa o esaltata. Amo l’allegria e la cordialità; sono una ragazza sola, poiché da pochi mesi ho perso la mia cara mamma. Senza di lei ora non ho più nessuno. È per me troppo triste andare da sola al cinema o a teatro e la Sua inserzione è capitata a proposito.
Se avesse piacere di conoscermi, La prego di chiamarmi al numero 38004. Spero di avere fortuna e rimango in attesa di una risposta.
La saluto con amicizia.
Fritzi xxx
Vienna, Backmanngass 76/14
Orario più conveniente per telefonare 12-13.30 o alle 5.”