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Nel 1933 furono organizzati dalle autorità della Germania nazista roghi dei libri non corrispondenti all’ideologia nazista.
Il più grande rogo avvenne il 10 maggio 1933 nell’Opernplatz di Berlino; in questo giorno, infatti, si organizzò un grande falò dove vennero gettati i libri considerati dai nazisti “contrari allo spirito tedesco”. Nello stesso giorno il gerarca nazista Joseph Goebbels vi tenne perfino un discorso, dove affermava che i roghi erano un ottimo modo “per eliminare con le fiamme lo spirito maligno del passato”.
Lo scrittore tedesco Erich Kästner vide bruciare nelle strade di Berlino le sue opere e decise di scrivere quello che era accaduto.

La sera Hans Wilhelm e io prendemmo il tram per la stazione ferroviaria di Lehrter. Quindi attraversammo il grande ponte di ferro e cercammo le colonne in marcia che erano state annunciate. Arrivarono trotterellando – a sinistra, due, tre, quattro, a sinistra, due, tre, quattro – dietro al Lessing Theater.

Gli studenti nelle divise della SA avanzavano come guardie pretoriane. In cima alla colonna, in quello che di soluti è il posto della bandiera o dello stendardo, uno di loro portava su un palo la testa di Magnus Hirschfeld, abbattuta da un busto di bronzo. Lo agitò come un trofeo, marciando di fronte all’elite intellettuale del Terzo Reich; il quadro non avrebbe potuto essere più orribile se la vera testa insanguinata di Hirschfeld fosse stata trascinata per tutta Berlino.

I camion carichi di libri sepeggiavano tra le colonne. Era una giornata nuvolosa e piovosa. Nonostante i canti e l’uniforme, anche l’umore degli studenti era coperto da un’ombra. I metodi dei nuovi maestri non erano proprio quelli a cui erano abituati. Certo, sapevano bene che non solo puoi amare i libri, ma puoi anche odiarli: ma nessuno gli aveva ancora insegnato a bruciare pubblicamente libri a comando. Sapevano, senza alcuna eccezione, che oggi stavano offrendo al mondo civilizzato uno spettacolo indimenticabile e disgustoso, uno spettacolo che sarebbe rimasto indelebile negli annali dell’umanità. E forse sapevano anche che la loro marcia altro non era che una marcia volontaria sotto il giogo della loro sottomissione.

“Il futuro uomo tedesco non sarà un uomo di libri, ma piuttosto un uomo di carattere”. Goebbels aveva coniato uno slogan di distruzione e non lo lasciava eseguire dalla plebe, no, ma dall’elite! Era un’idea demoniaca, proprio come quelle che piacevano tanto a lui. Con il rogo di quel giorno, che spazzò via per sempre la libertà di essere uno scrittore, gli studenti tedeschi rinunciavano a qualsiasi futura libertà di espressione. L’omicidio commesso quella sera fu prima di tutto un suicidio.

Le colonne tracciarono un grande cerchio in Piazza dell’Opera. Hans Wilhelm e io eravamo vicino alla barriera degli studenti che si era formata sul Fahrdamm, parallelamente alla facciata dell’università. A quel punto furono accese le fiaccole, tenute da parte per il momento culminante dell’evento. La catasta di legname era stata eretta di fronte ai palazzi della banca, a destra del teatro dell’opera. Fu accesa. I camion si avvicendarono alla rampa di carico. Migliaia di libri furono scaricati e gettati nel fuoco da mani solerti e laboriose.

Quindi apparve Goebbels.

Salì su una pedana assediata dai microfoni e fece un gesto davanti al fuoco come un diavolo di fronte all’inferno. Sibilò, si mise a parlare, chiamò gli scrittori uno a uno per nome e lasciò andare i loro libri alle fiamme e all’oblio.

Qui non non abbiamo grande inquisitore, ma un piccolo pompiere. Qui abbiamo uno scrittore fallito che si è vendicato della letteratura. Qui un politico astuto ha eliminato ogni opposizione intellettuale per molti anni. Il trucco e l’arguzia di tutta la faccenda fu proprio il fatto che le “bestie intellettuali in decomposizione” che si frapponevano a questi scagnozzi di sventura furono eliminate dall’unico “intellettuale” che avevano nei loro ranghi. Non fu una marmaglia facile alla rissa a tradire lo spirito qui, ma Goebbels, uno che a Heidelberg fu studente di Gundolf, e tutta la gioventù accademica della Germania.

Anni dopo, gli studenti che si trovavano nel luogo del rogo quella sera mi dissero che loro – e non solo loro – raccoglievano in segreto i volumi rimasti a terra ai loro piedi e non li gettavano nel fuoco ma li mettevano sotto la giacca dell’ uniforme, per leggerli a casa e conservarli come sono conservati i tesori.

La nostra intenzione di partecipare alla festa popolare dell’apocalisse come cronisti zelanti fino alla fine fu vanificata da un episodio imprevisto. “Kaestner è là!”, Gridò improvvisamente una giovane donna che era venuta con il suo ragazzo. La sua sorpresa nel trovarmi tra le vittime al mio stesso funerale, per così dire, fu così grande che mi indicò persino con il dito. Confesso che non fu piacevole per me. Perché, poco prima, qualcun altro aveva chiamato ad alta voce il mio nome: “Kästner.” Proprio lui Goebbels, lo studente di Gundolf, sulla sua pedana assediata dai microfoni. Hans Wilhelm e io ci guardammo attorno, circondati dagli studenti delle SA. Fissavano lo scoppiettare ardente della fiamma.

Dopo alcuni minuti di imbarazzo decidemmo di tornare a casa. Ci sedemmo nel cortile di un ristorante della parte occidentale della città e restammo in silenzio. Cosa avremmo potuto dire? Quella sera ci aveva spento la voce. Era così facile cancellare una letteratura? Con azioni così grossolane possono trionfare la cattiveria e la stupidità? Così rapidamente la ragione rinunciava alla ragione? A quel tempo non sapevamo quello che il mondo intero sa oggi, dopo molti anni orribili: con questi metodi puoi distruggere un popolo, ma non i libri.

I libri muoiono solo per cause naturali. Muoiono quando il loro tempo è scaduto. Non puoi tagliare, strappare o bruciare un minuto dal filo della loro della vita.

Ora lo sappiamo. Sappiamo che i libri non possono essere bruciati.


Antonio Sgorbissa
Antonio Sgorbissa

Traduzione, adattamento, lettura e interpretazione di Antonio Sgorbissa.