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Verso la fine del 1943 Himmler stabilì una nuova disposizione per l’“eliminazione dei deviati sessuali”, cioè degli omosessuali: chi di noi si fosse fatto castrare mantenendo una buona condotta sarebbe stato rilasciato. Alcuni detenuti con il triangolo rosa credettero a questa promessa e per uscire dalla morsa mortale del campo si sottoposero alla castrazione, ma nonostante la buona condotta furono sì rilasciati, ma per essere spediti in Russia, a combattere, dove ebbero l’onore di morire eroicamente per Hitler e Himmler.

Il Lagerfuhrer un giorno mi chiese: “senti, frocio di un kapò, sei già stato castrato?”
“No, signor Lagerfuhrer”.
“E non vuoi provvedere?”.
“Signor Lagerfuhrer, voglio uscire di qui come quando sono entrato”.
“Tu e tutta questa marmaglia di froci non tornerete mai a casa”, mi informò stizzito.

Con queste parole aveva ammesso che, nonostante le promesse del Lagerkommandant e di tutto il comando supremo delle SS, non saremmo mai stati rimandati a casa, neanche in caso di buona condotta.

Dovevamo venire sterminati, com’era previsto fin dal 1938.

Fino al 1942, succedeva frequentemente che i vari campi di concentramento, per ridurre i prigionieri, spedissero a intervalli periodici nei campi di sterminio un centinaio o anche più di detenuti, da eliminare col gas o con iniezioni di veleno. La selezione di quanti andavano liquidati era affidata all’ufficio segreteria dei detenuti con a capo l’anziano del campo: se questi era un prigioniero politico, la stragrande maggioranza dei detenuti destinati allo sterminio sarebbe stata di triangoli rosa. Dopo la guerra lessi la dichiarazione di un ex detenuto politico, con mansioni di anziano, secondo il quale nei campi di sterminio venivano inviati i detenuti meno validi e meno importanti. A dimostrazione di come nel campo fossimo considerati inferiori, perseguitati e mandati a morire addirittura dai compagni che stavano nella nostra stessa barca.

Chi dava loro il diritto di ergersi a nostri giudici e di considerarci così?

Il 20 aprile del 1945 alle cinque del mattino suonò l’allarme e dagli altoparlanti ci ordinarono di recarci sul piazzale dell’appello con tutti i nostri averi.

Il comandante infatti ci comunicò che, poiché il nemico era ormai vicino, saremmo stati evacuati a piedi per essere trasferiti nel campo di concentramento di Dachau; senza mezzi termini ci informò anche che chi non avesse tenuto il ritmo di marcia o avesse tentato di fuggire sarebbe stato giustiziato all’istante.

Mi ero unito a cinque austriaci col triangolo rosso e marciavamo insieme in quella colonna di disperati, pronti a staccarci dal gruppo alla prima occasione e a tornare per conto nostro in patria.

Durante la marcia molti detenuti crollarono sfiniti e se non si rialzavano immediatamente la scorta li fucilava sul posto.

La sera del 22 aprile 1945 ci accampammo in un boschetto nei pressi del paesino di Cham. Sfiniti dal tre giorni di marcia, molti detenuti avevano i piedi scorticati e pieni di vesciche. Alcuni, resi ormai quasi apatici dallo sfinimento, si auguravano di morire subito piuttosto che dover continuare la marcia.

All’alba del giorno seguente si diffuse tra noi una certa agitazione, finché ci rendemmo conto che durante la notte le SS se ne erano andate lasciandoci da soli. Quando ne avemmo la certezza scoppiò il finimondo: le scorte e le cucine del convoglio furono subito saccheggiate, tutto ciò che ricordava il campo di concentramento venne distrutto, e i lunghi anni di oppressione trovarono uno sfogo in una rabbia distruttiva. Noi sei austriaci ci staccammo immediatamente dagli altri, perché temevamo che le SS si fossero solo nascoste nei dintorni.

Una cosa era certa: i russi o gli americani non potevano trovarsi molto distanti da noi.

Cercavamo di individuare delle truppe o dei carri armati alleati, che fino a quel momento non eravamo ancora riusciti a scorgere. Probabilmente ci stavamo muovendo nella terra di nessuno della zona del fronte, un’impresa estremamente rischiosa.

Al calar della notte trovammo rifugio nel fienile di una casa di campagna e ci preparammo un giaciglio. Finalmente eravamo soli, senza i guardiani, finalmente liberi. Per quanto il nostro futuro potesse essere incerto, sarebbe stato sicuramente migliore.