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Questa osteria sorge su una collina e da qui si gode una vista magnifica: alle nostre spalle si apre una vasta pianura coltivata a orzo e grano e, davanti a noi, il mare si stende fino a incontrare il cielo, sulla linea dell’orizzonte.
A sud l’azzurro abbagliante delle acque, a nord il biondo-oro delle spighe dove si apre una vasta area grigia di terra e di polvere, una specie di ferita dove loro hanno costruito il Campo.
Una lunga scia scura, simile all’impronta lasciata da un serpente, taglia le messi e si rintana oltre il portone dove è incisa la scritta Il lavoro rende liberi: è il binario della ferrovia.
Ogni giorno arrivano convogli merci che vengono inghiottiti dal Campo e, dopo qualche ora, ne vengono risputati fuori.
Questa sera siamo in quattro a bere birra e dolce vino passito e qualcuno domanda: che cosa trasporteranno?
Jacek giura di saperlo. «Tre giorni fa ero al lavoro ed è passato un treno: era carico di uomini, donne e bambini, grandi occhi spiritati che spiavano dalle feritoie dei vagoni bestiame e, quando è ripartito, era vuoto, solo i macchinisti e i militari dalle uniformi brune.»
«Ma non dire fesserie!» replica Hans. «Si sa che i soldati non fanno avvicinare nessuno!»
«Infatti stavo falciando il grano sul mio terreno, a diversi chilometri dal Campo, ma ero prossimo alle rotaie e li ho visti.»
«Tu parli così perché non hai mai digerito che il treno passasse sulla tua terra.»
Prende la parola Carmelo, detto “O Spadaro”, che fa il pescatore alla tonnara: «E se anche fosse, cosa ci sarebbe di strano? Dopotutto è un campo di lavoro: avranno bisogno di manodopera»
«Campo di lavoro?» insiste Jacek. «Per produrre cosa?»
«Dalle ciminiere esce fumo, giorno e notte. Qualcosa produrranno.»
«E tutta quella gente dove la sistemano? Il Campo è grande, ma il treno contava decine di vagoni stipati di persone e ogni giorno arrivano nuovi convogli, abbastanza da ripopolare una grande città.»
«E allora?» ribatte lo Spadaro.
«Il lavoro renderà liberi, ma tu hai mai visto qualcuno uscire dal Campo?»
«È stato costruito in mezza al nulla, circondato da ettari di pianura coltivata. Cosa uscirebbero a fare? Dentro avranno cinema, empori, bar e tutto quello che gli occorre. E poi, i treni trasporteranno anche viveri e materie prime da lavorare»
«Quali materie prime?»
«Ferro per costruire macchine, rame per i cavi elettrici e alluminio per le pentole…»
«Non è odore di metallo quello che esce dai camini» bisbiglia Jacek scuotendo il capo. «Ma non mi hai risposto: dove li sistemano uomini, donne e bambini?»
«Deve esserci una rete di gallerie sotterranee» suggerisce lo Spadaro. «Una volta scesi dal treno, vengono smistati in altri campi attraverso i cunicoli, al riparo dal gelo invernale e dal sole dei mesi caldi.»
«Come le talpe?» acconsente Hans.
«O i conigli» ride Carmelo. «Non può essere diversamente.»
Jacek beve un lungo sorso, per nulla convinto. Poi torna alla carica: «E cosa se ne fanno delle donne?»
«Lavori da donne: forse che le fabbriche occupano solo uomini?»
«E i bambini?»
«Andranno a scuola» lo rimbecca Hans. «Non vorrai che siano così crudeli da separare i figli dalla famiglia. Sai quanto ci tengono, loro, alla famiglia…»
«In effetti, dalle feritoie spuntavano anche visi scavati di vecchi» ammette Jacek.
«Lo vedi che ho ragione? Vogliono tenere unite le generazioni, anche se i vecchi sono un peso e non possono lavorare.»
«Non ci sono altre spiegazioni, bisogna avere fiducia » conferma lo Spadaro con un sospiro. Poi, assalito da un ripensamento, torna a rivolgersi a Jacek. «Cosa intendevi riguardo al fumo delle ciminiere?»
«Dici a me?»
«Non hai detto qualcosa sull’odore del fumo?»
«Ho detto che non è odore di ferro.»
«E che odore sarebbe?»
«Di carne bruciata.»
«Quello verrà dalle cucine.»
«Tante ciminiere solo per le cucine? Dunque là dentro cuociono cibo per tutto il Paese» replica Janacek con una smorfia.
«Ecco la risposta!» si infervora Hans. «Il Campo è una gigantesca industria alimentare e i treni in uscita sono carichi di generi di prima necessità! Dopotutto, siamo in tempo di guerra.»
Jacek sembra perplesso, ma l’idea gli suona plausibile, tanto che decide di cambiare interlocutore e si rivolge a me: «Te ne stai silenzioso, Sc’vèik, oste della malora! Non hai nulla da dire?»
Finisco di asciugare i bicchieri, esco dal bancone e vado alla finestra sul lato sud. È una notte limpida e calma, senza una bava di vento, e una falce di luna scintilla sulla superficie nera del mare.
«Che posso dire? Il mio lavoro è servire i clienti. Ma avete notato che davanti a questa costa non passano più navi?»
«Dicono sia una buona notizia» replica Hans.
«Altro che» conferma lo Spadaro. «Quelle navi appartenevano a organizzazioni non governative che raccoglievano uomini su imbarcazioni di fortuna prima che annegassero.»
«E dunque?»
«Non ci sono navi perché nessuno si avventura più in mare aperto.»
«E come mai?»
«Perché sanno che non troveranno nessuno a soccorrerli.»
«Sei proprio sicuro, Spadaro?»
«Oh, Sc’vèik, ti ci metti anche tu? Certo che sono sicuro!»
«E se qualcuno parte lo stesso?»
«Peggio per lui.»
«Affoga?»
«Già.»
«E per chi affoga non c’è notizia, sepoltura né lacrime.»
«Chi affoga non esiste più.»
«E finisce sommerso» aggiungo.
Allora Jacek si scuote dal suo rassegnato torpore e, quasi in preda a un accesso febbrile, spalanca gli occhi e ripete: «Sommerso! Sommerso!»
Hans e lo Spadaro lo guardano con stupore.
«Sommerso come le gallerie che trasportano i prigionieri negli altri campi di lavoro!»
«Sommerso» aggiungo «come la verità.»
Lettura e interpretazione di Dario Manera.
Testo di Bruno Morchio.
Allestimento scenografico realizzato dagli studenti dell'Accademia Ligustica di Belle Arti: Nora Cassini, Giorgia Cuffaro, Valeria Torti, Benedetta Piombo, Matteo Di Blasi, Marta Damonte, Giorgia Pagani, Siyu Song, Yi Luan.