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L’ho capito a quindici anni ma allora ero soltanto un adolescente e pensavo che non avevo ancora le idee chiare e che prima o poi per me sarebbe stato naturale essere attratto solo dal genere femminile ma poi non è stato così e da allora fino a oggi, che di anni ne ho trentuno, i miei occhi sono andati alla ricerca sempre e soltanto del mio stesso sesso. Con alcuni si è trattata dell’avventura di una notte, altri li ho frequentati per pochi mesi spesso si trattava di uomini già sposati con figli. Posso dire di non aver mai sofferto, forse perché non ho mai amato veramente ma poi la ruota è girata anche per me: mi è successo di amare e di essere amato. Sarebbe stato bellissimo se tutto ciò non fosse successo nell’autunno del 1938. Ho conosciuto Matteo l’estate di quello stesso anno in treno di ritorno da un breve soggiorno a Siena. Ci siamo ritrovati seduti uno di fronte all’altro prima come perfetti sconosciuti, finendo poi per parlare delle nostre vite fin quando ormai eravamo giunti a destinazione.
Dopo quel viaggio ne abbiamo fatto un altro insieme, sempre in treno e sempre vicini quasi spiaccicati l’uno all’altro; siamo arrivati così al campo di concentramento di Dachau. I nazisti ci considerano degli individui deboli, degli effeminati che minano l’equilibrio demografico del popolo tedesco. Siamo delle persone malate colpevoli e non vittime della loro epidemia e pertanto ci assegnano i lavori più pesanti nelle fabbriche sotterranee di missili oppure nelle cave di pietre.
Matteo è stato internato in un'altra prigionia ma entrambi portiamo il triangolo rosa, il colore che identifica la nostra omosessualità, la nostra malattia. Questo pezzo di stoffa ci rende orgogliosi di quello che siamo: due omosessuali, che si amano e continuano a farlo e continuano a farlo anche se separati.
Le profonde ferite alla schiena continuano a bruciarmi; non ricordo quante bastonate mi ha dato ma ricordo benissimo i vezzeggiativi con cui venivo appellato dalla guardia mentre mi picchiava: “frocio di merda”, “sporco omosessuale”, “femminuccia bastarda”.
Alcuni di noi hanno scelto la castrazione chimica come possibilità di sopravvivenza adesso però questi bastardi tedeschi la ordinano senza consenso, alla ricerca di una prova scientifica che possa dimostrare il nostro essere contronatura ma ciò non porta a nulla se non a sofferenze, malattie, in alcuni casi alla morte.
Cosa ne sarà di me non lo so, se uscirò vivo di qui oppure se finirò accatastato insieme ad altri corpi scheletrici ma l’amore per Matteo mi dà la forza di credere che forse un giorno quel sogno ricorrente che faccio ogni notte si avvererà: Io e lui che usciamo vivi dal campo stremati ma felici di poterci riabbracciare nei nostri corpi fragili.

Massimo Vianello
Sabrina Branchi

Lettura e interpretazione di Massimo Vianello.

Testo di Sabrina Branchi (Officina Letteraria).

Allestimento scenografico realizzato dagli studenti dell'Accademia Ligustica di Belle Arti: Giada Ronco Milanaccio, Noemi Neri, Nicolò Tomasi, Sara Pianta, Greta Capaldo, Arianna Viazzi, Maite Costa.